Non sempre la valorizzazione e la promozione del patrimonio archeologico sono riuscite a mantenere un rapporto virtuoso con le esigenze della ricerca e della tutela. In molti casi l’archeologia condotta sul campo e nei laboratori, pur apportando novità di rilievo sul piano delle conoscenze, non è stata capace di esercitare un ruolo significativo nella condivisione dei risultati e, nei progetti miranti a trasformare il patrimonio archeologico in risorsa sociale ed economica, ha ceduto il passo ad attori non sempre consapevoli del processo compiuto e dei valori custoditi dallo specifico patrimonio culturale. Oggi appare evidente che una piena valorizzazione della risorsa archeologica non può limitarsi a un suo utilizzo come mera suggestione, in un percorso che interrompe il legame tra chi produce la conoscenza, chi ne pianifica la mediazione e la composita comunità dei fruitori del bene.
Alcune esperienze messe in campo e progetti attivati con le comunità locali anticipano un nuovo modo di relazionarsi con il patrimonio culturale, in cui la ricerca è valorizzata, la comunicazione diventa a ‘chilometro zero’ e riesce a coniugare, pertanto, la rapidità richiesta con il necessario rigore, attivando processi partecipativi virtuosi.
Le osservazioni condotte su interventi di ricerca condotti sul territorio sardo, di pari passo ad un confronto sui temi della ‘Public Archaeology’, oggi consentono di proporre un nuovo approccio, in cui una nuova generazione di archeologi, che opera o si forma anche nel nostro ateneo, è in grado di fornire un apporto determinante nella valorizzazione del patrimonio archeologico. Questa comincia già nella progettazione del cantiere e produce risultati di lunga durata, proponendosi – dal piano locale fino a quello nazionale e internazionale – come un’offerta di qualità per tutti i livelli di condivisione e fruizione consapevole.
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